Opera laboratorio è un progetto della Fondazione Teatri di Piacenza. La sua anima è Leo Nucci. Il celebre baritono, in veste di regista, si è posto come obiettivo quello di fare l’opera con i giovani ma all’interno di una prospettiva, oggi, decisamente contro corrente. Nel conformismo di un teatro di regia, che spesso è obsoleto e gratuita ripetizione di abusati clichés, spinti fino al manierismo, Nucci parte dal libretto e dalla partitura e legge l’opera così come è stata scritta. Direi che l’operazione incontra l’incondizionata approvazione del pubblico. Quest’anno si è scelto di mettere in scena La Bohème. La prima è andata in scena al Pavarotti di Modena, dove è stata recensita per noi da Silvia Campana. Nell’imminenza del Natale approda al Municipale di Piacenza.

In questa occasione abbiamo cercato di fare il punto della situazione con Leo Nucci, che a Piacenza era impegnato anche a mettere in scena in prima assoluta Il sordo-Sogno d’amore in una notte di San Silvestro, parole dello stesso Nucci, musica di Paolo Marcarini,

Si può fare una regia di Bohème o testo e musica sono così perfetti e conformati da scoraggiare inutili e gratuite sovrapposizioni?

Alla risposta premetto una polemica. Da decenni, direttori d’orchestra in primis, e critici poi, parlano di filologia e si accapigliano per una semicroma al posto giusto. Tutto sacrosanto. Ma sul palcoscenico può passare di tutto? Lì la filologia non conta?

E come ti sei mosso?

Il libretto di Illica e Giacosa è splendido. Puccini lo sapeva e ha lavorato con il testo e sul testo. Non ha trascurato nulla. Io ho rispettato quanto gli Autori, vale a dire librettisti e compositore, hanno fatto. Ho cercato di dare all’azione la massima plausibilità e di fare rivivere il mondo e i valori di quel mondo.

Ci fai un esempio della plausibilità dell’azione?

Sì, subito. Quando nel IV Quadro Musetta entra nella soffitta non ha alcun senso che dica quelle parole (“C’è Mimì che mi segue e che sta male”) alla presenza di Mimì, che certo non vuole allarmare. La scelta di mettere un piccolo androne tra la porta delle scale e la soffitta non è né casuale né gratuita. Va a risolvere questo problema. Mimì è tisica, le scale l’hanno messa a dura prova. Può sostare un attimo nell’androne. Poi entrare, riprendersi, fino ad esclamare “Ah! come si sta bene qui.”

Ed un esempio dei valori?

Ti faccio un altro esempio: nella Bohème, i protagonisti, i ragazzi, tra di loro si danno del voi. Nell’ultimo Quadro nell’ultimo Quadro, quando Colline dà a Musetta i soldi, ricavati dalla vecchia zimarra, dice, “Musetta, a voi!”. Cogliere questo particolare e che cosa esso significhi, ci aiuta a riscoprire l’autentico mondo della Bohème: un mondo di rapporti, impostati secondo regole ben precise, che, se ignorate o stravolte, non consentono di andare davvero all’origine della psicologia dei personaggi.

Ma nel II Quadro ti sei preso qualche libertà con la presenza di una ragazzetta che suona la fisarmonica…

“Partiamo intanto dalla costatazione che due anni prima dell’andata in scena della Bohème, Puccini scrisse un Petite valse, in pratica il valzer di Musetta, in mi maggiore. La scelta di accennarlo all’inizio del Quadro, ci richiama questo pezzo che poi, pur con dei cambiamenti, Puccini riutilizza. Ma non basta. Nel momento in cui Musetta attacca, “Quando men vò”, faccio rientrare la fisarmonicista. Che però non suona, come molti hanno creduto. Quello che ascoltiamo viene suonato dall’orchestra, per la quale Puccini usa delle armonizzazioni che sembrano proprio quelle di una fisarmonica. Devo dire che ci sono cascati tutti.”

Tu sapevi che ci darebbero cascati?

L’ho fatto apposta, ma per un motivo preciso, che ha come scopo di sottolineare come Puccini non lasci nulla al caso. Ma c’è di più. La fisarmonicista, che simula di attaccare il valzer, ci aiuta a cogliere la natura stessa del personaggio. Il valzer è triste. Musetta non è una cocotte. Al contrario, è una ragazza venuta dalla strada, che sopravvive in un mondo certo non facile per gli uomini e , soprattutto, per le donne. Nella ragazzetta, nella fisarmonicista, ella rivede se stessa. Colgo così la bontà di Musetta. Non è un caso che nel IV Quadro, mentre prega le faccio fare il segno della Croce. Vedi che allora tutto rientra e nulla è gratuito.

E per Mimì, come ti sei comportato?

Allo stesso modo. Quando le faccio spegnere la candela, voglio sottolineare quello che è chiaro. Mimì non capita per caso nella soffitta dei quattro bohèmiens. Ci va apposta. Cerca compagnia. É sola e vuole trovare un conforto, un amore, per sopravvivere meglio in una situazione non facile.

Allora è stato più difficile fare la regia di Bohème rispetto alle altre opere?

Sì è stato più difficile. Nelle altre mi sono mosso più liberamente. E la difficoltà è stata nel restituire al pubblico la Bohème di Puccini senza pazzie, tipo, che ne so, spostarla a Cortina d’Ampezzo o altrove. Non a caso qualcuno ieri mi ha detto che questa, firmata da me, sembra la Bohème di Zeffirelli.

E tu, che cosa hai risposto?

Ho preso la frase come un complimento, perché la Bohème di Zeffrelli è andata vicinissima alla volontà degli Autori, con in più quel gusto spettacolare, hollywodiano, che ha sempre contraddistinto le messe in scena del grande regista.

Ma tu ti sei comportato diversamente?

Io ho scelto una dimensione più povera, pur contestualizzando l’azione con precisione. Un esempio: la vicenda si svolge all’epoca di Luigi Filippo e lì deve rimanere. Luigi Filippo ha sposato Elena di Sassonia che nel 1834 ha portato in Francia la tradizione dell’albero di Natale. Non a caso un grande albero di Natale domina il II Quadro di questa edizione.

Credi che il teatro di regia, oggi così in voga, possa finire per allontanare ancora di più il pubblico?

Spero di no. Ma il pubblico, quello dei giovani, quello che all’opera non è mai stato, vuole conoscere le opere nella loro realtà e non trasposizioni più o meno originali. Ne ho avuto la riprova proprio nel corso delle recite di questa Bohème.

Cambio argomento con un ultima domanda: da Puccini a Beethoven…

Beethoven è il protagonista dell’opera, Il sordo, che vedrà qui la prima assoluta. Ho scritto il libretto. Paolo Marcarini la musica. Musica tonale, che richiede voci importanti. In quest’opera, seppure solo per qualche minuto, suono il violoncello, strumento suonata da Beethoven. Si tratta di un esperimento, di un altro modo per sottolineare in che misura io ami la musica e l’opera e mi batta in tutti i modi per farla amare.

Giancarlo Landini