Zingari di Leoncavallo.

Per il centenario della morte di Leoncavallo l’opera è stata eseguita nella Sala Grande del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano.

Di Andrea Merli

A ricordare il centenario dalla morte di Ruggero Leoncavallo (Napoli, 23 aprile 1857 – Montecatini Terme, 9 agosto 1919) è stata Denia Mazzola Gavazzeni, fondatrice e presidente dell’associazione Ab Harmonie Onlus, nell’ambito del programma delle “Serate Musicali“ al Conservatorio di Milano, col supporto della Fondazione Cariplo, della Regione Lombardia, del Comune di Milano e di quello di Bergamo; nell’anno in cui ricorre, tra l’altro, il 110 anniversario dalla nascita del suo Gianandrea, cui l’accomuna l’eroico entusiasmo e la passione per le riscoperte del nostro, e non solo, teatro musicale. La riproposta è stata Zingari, atto unico di Enrico Cavicchioli e Guglielmo Emanuel tratto dalla novella di Puskin che vide la “prima” al Teatro Hippodrome di Londra il 16 settembre 1912, ed ebbe un’accoglienza festosa di pubblico e stampa e si replicò ben 62 volte.

Spariti praticamente dalle nostre scene, se si esclude un’edizione RAI del 1970 diretta da Elio Boncompagni, recentemente mancato e con protagonisti i compianti Gianna Galli ed Aldo Bottion ed una più recente nel 2000 che non ha avuto grande eco, Zingari è da considerarsi a tutti gli effetti una rarità; un titolo che meriterebbe di rientrare in repertorio non solo nei nostri teatri, magari abbinato a Pagliacci di cui, inevitabilmente, riecheggia storia e stile.

Un uso trascinante della melodia, un’orchestrazione sapiente ed esotica (Leoncavallo si fece costruire apposta dal liutaio toscano Valentino De Zordi un “controviolino”, strumento di grandissima estensione che concilia la viola ed il violoncello) ed una scrittura vocale ardua specie per i due protagonisti, la maliarda zingara Fleana, soprano ed il principe Radu, tenore, con cui si sposa secondo il mitico rito di sangue. La trama riflette quella dell’originale russo che servì di ispirazione a Rachmaninov per l’atto unico Aleko, con la sostanziale discrepanza nel finale in cui il geloso e tradito Radu incendia il carro in cui giacciono la fedifraga Fleana e il suo nuovo amante, lo zingaro Tamar, affidato al timbro di baritono. Divisa in due parti, tra cui trascorre un anno della storia, l’opera è interrotta da uno splendido intermezzo, la pagina più nota, sebbene negli anni sono state consegnate al disco arie isolate, per esempio quelle del tenore interpretate dal giovane José Carreras.

L’esecuzione ha visto brillare nella parte della “Carmen” di Leoncavallo il soprano bergamasco che vi si è gettata con convinzione in una prova più che ammirevole, eroica; sia per la tenuta vocale che richiede una passionalità travolgente, ma anche una dose di ironia e sarcasmo, specie nella seconda parte, e soprattutto per l’interpretazione. La Mazzola ha idealmente fatto intravvedere le potenzialità di un ruolo vulcanico. La “mise” rosso fuoco, l’uso dello scialle agitato e gettato assecondando le frasi più eroticamente provocanti, hanno indubbiamente contribuito ad una resa assolutamente memorabile.

Il tenore Giuseppe Veneziano, partner abituale della Mazzola ed apprezzato pure nella precedente Falena (che curiosamente si anagramma in Fleana in Zingari!) di Smareglia, ha superato alla grande le impennate riservate a Radu; una tessitura che si tiene costantemente nell’ottava superiore, che tocca ripetutamente il Si naturale e che richiede, oltre alla tecnica corretta ed alla voce adeguata, una resistenza monolitica: come cantare almeno tre Turandot di fila, per intenderci! Di Veneziano son piaciuti e molto il fraseggio, l’accento e la bella dizione chiara, aperta ma sempre controllata e tenuta a bada con un’ottima intonazione, che hanno fatto capire perfettamente la parola cantata. Leoncavallo riserva pagine suggestive pure al baritono, nella seconda parte una bellissima “serenata”: apprezzabile l’apporto generoso del baritono Armando Likaj. Il personaggio del Vecchio, padre di Fleana e capo degli zingari, è molto ridimensionato rispetto alla sua determinante partecipazione nel poema originale, non di meno ha da cantare, spesso con il coro, ed il basso Giorgio Valerio si è fatto molto onore.

Ottima la prova del coro, molto impegnato e con tante reminiscenze che ricordano Pagliacci, sotto la guida congiunta di Damiano Cerutti e Maxine Rizzotto; molto bene la valente Orchestra Filarmonica Italiana, diretta da Daniele Agiman, il quale ha una sua peculiare affinità con questo repertorio che si percepisce egli ama e difende a spada tratta. Ne è risultata una lettura avvincente e senza smagliature, sebbene il tempo delle prove sia stato, come sempre in questi casi, risicato. Il pubblico, abbastanza numeroso vista la serata milanese ricca di impegni e, soprattutto, dato il maltempo imperante, ha decretato un’accoglienza molto calorosa e riservato commenti unanimi sulla bellezza dell’opera e sulla qualità dell’esecuzione.

4 novembre 2019