Interessante progetto realizzato dal pianista Carlo Balzaretti
di Roberto Del Nista
Sin dagli esordi della musica concreta, la riproduzione dei suoni ottenuta attraverso sistemi e strumenti non tradizionalmente meccanici ha avuto notevole e fascinosa interazione con la musica. L’espansione del digitale ha sviluppato maggiormente l’interesse di compositori e strumentisti nell’affiancare l’odierna tecnologia alla musica: finora questa sperimentazione ha occupato per lo più la composizione e la prassi esecutiva, fino ad investire la ricerca filologica.
Un progetto pluriennale condotto dal pianista milanese Carlo Balzaretti, esperito sul pianoforte digitale Avant Grand Yamaha N3X, consente di riprodurre oggi i suoni con i diversi diapason utilizzati in epoche passate. Ciò permette l’ascolto di brani scritti – ad esempio – da Mozart, Beethoven, Chopin riprodotti con i diapason originali e la timbrica degli strumenti a tastiera impiegati dai diversi compositori in epoche altrettanto diverse: strumenti dalle caratteristiche organologiche e meccaniche variabili non solo in funzione dell’anno di costruzione, ma pure a seconda del costruttore stesso.
La realizzazione degli studi condotti da Carlo Balzaretti, si è verificata di recente in alcuni concerti tenuti dallo stesso Balzaretti, ottenendo ovunque risultati più che positivi. Sugli aspetti di questa svolta innovativa, ancora in parte sconosciuta, abbiamo parlato direttamente con il protagonista.
Maestro Balzaretti. I suoi ultimi concerti tenuti sul pianoforte digitale Avant Grand Yamaha N3X hanno suscitato notevole attenzione. Cosa ha di particolare questa nuova prassi esecutiva?
«Innanzitutto premetto che questo progetto non si sarebbe mai potuto realizzare se non ci fosse stata, da parte di Yamaha, la disponibilità a credere e ad investire in questa “avventura tecnologica”. L’Avant Grand Yamaha N3X, è un pianoforte ibrido, dotato di una meccanica identica a un pianoforte a coda, con alcuni campionamenti ad altissima tecnologia (un grancoda Yamaha CFX e un Bösendorfer 280), la cui fedeltà del suono, grazie anche al sofisticato sistema di diffusione del suono degli altoparlanti e in cuffia (attraverso una riproduzione biaurale) rendono praticamente indistinguibile il suono di questo pianoforte ibrido da quello di un identico strumento acustico. Attraverso i rilevatori a fibre ottiche, disposti in diverse posizioni strategiche della meccanica del pianoforte, lo strumento si rende versatile, duttile e sensibile al tocco come in un ottimo pianoforte a coda, ponendo il pianista nelle condizioni di potersi esprimere avendo una piena padronanza della tastiera e del suono. A questo stupendo strumento ho applicato una tecnologia basata su dei campionamenti fisici del suono, in cui tutti i parametri del timbro, dell’intonazione, della frequenza, sono digitalizzati e regolati attraverso un software di nome Pianoteq della francese Modartt.
Si tratta perlopiù di pianoforti storici, fortepiani appartenenti alle migliori collezioni mitteleuropee (ricordo l’A.Walter di Badura-Skoda) che, grazie a questa stupefacente tecnologia, permettono di poter essere riprodotti attraverso l’adozione di uno strumento a tastiera, purché correttamente settati in ogni parametro del suono e nella regolazione e taratura della meccanica della tastiera.
Serve un computer molto potente con una CPU in grado di reggere un flusso di dati davvero notevoli.
Per più di sei anni ho lavorato sui parametri del suono di alcuni di questi pianoforti alla ricerca di un “mio suono”, partendo dal Dohnal di Mozart al Broadwood di Beethoven, al Pleyel di Chopin; al meraviglioso Blüthner con l’Aliquot.
Ogni strumento è riprodotto con il diapason originale, mantenendo inalterate le caratteristiche timbriche e acustiche. Davvero apprezzabile è osservare, in particolare, il transitore di regime e di estinzione del suono; caratteristiche fisiche acustiche che permettono di applicare, per esempio, i pedali originali di Beethoven della Sonata Der Sturm o nelle Bagatelle op.126, rendendoci consapevoli del pensiero compositivo del grande compositore di Bonn. Applicare queste pedalizzazioni su un pianoforte moderno, creerebbe un’eccessiva ridondanza a svantaggio della chiarezza dell’eloquio musicale, per il fatto che la vibrazione dei pianoforti moderni si basa su parametri completamente diversi rispetto al pianoforte ottocentesco.»
Si tratta ancora una volta di una ricerca filologica, con le frequenze del diapason riportate a quelle delle epoche trascorse, come già avvenuto in passato per altri strumenti?
«Sinceramente non parlerei di una vera e propria filologia, avendo applicato una sorta di ibrido con la tecnologia. Potrei forse definirla una “mia filologia”: la ricerca di un’estetica musicale che permetta di evidenziare aspetti dell’interpretazione difficilmente riproducibili con un pianoforte moderno; aspetti che il pubblico può cogliere nel suono originale del pianoforte dei diversi Compositori in programma.»
Come e perché nasce il suo progetto?
«Nasce dalla mia inesauribile curiosità, dal connubio della musica con la tecnologia, che mi vede coinvolto fin da quando ero bambino, nell’ambito dell’alta fedeltà e alla ricerca di un suono riprodotto che possa essere, il più vicino possibile, alla realtà.
Per la realizzazione di questo progetto utilizzo convertitori digitali ad altissima frequenza (32 bit / 384 khz, cuffie elettrostatiche e amplificazioni valvolari.
È anche frutto di una mia costante ricerca: tutti i giorni studio con questi strumenti e ne modifico i parametri, cercando di migliorarli.
Applico spesso gli stessi procedimenti che ho imparato dai grandi Tecnici del pianoforte come l’indimenticabile amico Sergio Griffa, che mi ha insegnato ad accordare e a capire i segreti dell’intonazione della martelliera e della messa a punto della meccanica.
Tutto questo avviene attraverso un procedimento “non fisico ma di astrazione tecnologica”, di regolazione dei parametri digitali, invece che intervenire fisicamente sulle corde e sui martelli.
Mi affascina il fatto che il pianoforte diventa uno strumento “aperto” a nuove sfide; alla possibilità di riprodurre fedelmente il suono di strumenti rari o addirittura deteriorati dal tempo, visto che la tecnologia permette addirittura di ricostruire il suono delle note andate perdute.»
Quali le peculiarità dello strumento Yamaha N3X, anche logistiche, rispetto ad un pianoforte odierno, costruito con materiali attuali, ed uno tradizionale costruito in epoche passate?
«In 119 cm di lunghezza, lo Yamaha N3X È in grado di riprodurre la sonorità almeno di un pianoforte gran coda. Un paio di anni fa ero a Tokyo–Ginza con alcuni amici. Accanto all’N3X, nel celebre negozio Yamaha, c’erano due mezza coda C3 e un C2; al confronto, i due pianoforti acustici sono letteralmente spariti. Mi è capitato di suonare l’N3X in grandi Piazze e senza avere problemi acustici.
Naturalmente la nostra attenzione è rivolta a uno strumento ibrido, senza corde che, attraverso un’altissima tecnologia è in grado di riprodurre il suono di un pianoforte acustico.
I vantaggi sono naturalmente molteplici: per esempio, non deve essere accordato e non subisce alterazioni con il cambio delle temperature e dell’umidità.
Ma sono proprio gli aspetti della “vulnerabilità” del pianoforte acustico, che mantengono l’intramontabile fascino del pianoforte acustico. Nella mia casa, accanto all’Avant Grand primeggiano sempre un Bechstein C del 1927 e un Bösendorfer 2 metri, strumenti che suono ogni giorno e che mi insegnano sempre qualcosa di nuovo.
Nel contempo, l’Avant Grand mi permette di suonare senza disturbare i vicini utilizzando la cuffia, a qualsiasi ora, un aspetto davvero determinante e impagabile per un pianista che deve studiare.»
È il caso dire addio al pianoforte meccanico?
«No, mai. È un dialogo che non si potrà mai abbandonare. Il pianoforte meccanico rappresenta l’infinito: ogni suono riprodotto sarà ogni volta diverso, non solo in relazione alla sollecitazione del pianista, ma in base al clima, all’umidità, allo stato della martelliera, delle corde e di tutte le componenti che formano il “suono”.»
Questa nuova tecnologia sembra privilegi la musica strumentale per pianoforte. Non crede rimanga penalizzato – per i cantanti – il genere vocale proprio per i diversi diapason?
«Semmai, questo strumento permetterebbe di salvaguardare le corde vocali dei cantanti o, perlomeno, di scegliere il diapason più adatto ai diversi repertori!
Il 440 Hz, oggi portato a 442 o addirittura a 445 dei Berliner, non è mai stato davvero accettato, da tutti. Trovo molto più naturale il suono a 432 Hz; ma gli strumenti moderni non sono nati, dal punto di vista organologico, per suonare a questo Diapason e perderebbero in dinamica e sonorità.
Ma posso assicurarle che suonare l’Adagio del Chiaro di luna a 427 Hz su un Broadwood dell’epoca beethoveniana, pone di fronte ad un ascolto completamente diverso, più intimistico, lontano dalle sonorità del pianoforte americano (lo Steinway) che ha aperto successivamente gli orizzonti al grande concertismo internazionale e che tanto apprezziamo.
A volte, per uno studente, sono esperienze illuminanti. Esperienze che permettono di rileggere le pagine del grande repertorio con una rinnovata consapevolezza.»
I suoi prossimi impegni ed un suo sogno nel cassetto.
«Usciti dal Covid, vorrei tornare nelle sale da concerto e recuperare tutti i concerti rinviati o eseguiti in streaming. Proprio a Milano, in questi giorni, dovevo eseguire in prima assoluta un brano che ho dedicato a tutte le vittime del Covid-19 partendo dallo splendido mottetto di Charpentier Motet pour les trépassés H.311 dedicato alle vittime della peste spagnola del’600.
In questo concerto, che si doveva tenere al teatro Strehler il 2 novembre, ero in dialogo con una delle massime espressioni del jazz internazionale, Enrico Intra, con cui ho il privilegio di collaborare da una ventina d’anni.
C’erano altri sogni nel cassetto che verranno riproposti appena si potrà “volare”: una tournée in Giappone, una serie di Lectures presso il Conservatorio Centrale di Pechino che ha curato la pubblicazione della mia opera omnia per pianoforte, eseguita e curata da una mia ex allieva, Chen Xi, oggi docente al conservatorio della grande capitale cinese.
Infine, il nuovo incarico di direzione al Conservatorio Giacomo Puccini di Gallarate, dopo aver ricoperto il medesimo ruolo presso il Conservatorio di Brescia e di Como, nel desiderio di consolidare e ottimizzare la struttura accademica dei corsi, aprendoli a nuove professionalità.
Costante e determinante sarà il continuo e costruttivo confronto con i giovani musicisti, che per me rappresentano la linfa dell’entusiasmo e della condivisione di nuove idee.»