Fedele alla sua tradizione, che l’ha reso negli anni un appuntamento di riferimento per gli amanti del belcanto e per la riscoperta di quel patrimonio operistico, davvero inesauribile, della scuola napoletana, il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca propone spesso titoli che, andando al di là della pura riscoperta, aiutano a far comprendere come si fruiva l’opera e i modi di una prassi esecutiva settecentesca che aveva regole tutte sue, spesso ascritte al volere dei divi dell’epoca, i castrati. È la storia di questo Rinaldo, che reca la firma di due compositori: Händel, che con quest’opera ottenne la sua consacrazione a Londra nel 1711, quando nel ruolo del titolo cantò il castrato Nicola Grimaldi, detto Nicolini, e Leonardo Leo. Accadde che il celebre cantore evirato, dopo il successo inglese, si recò a Napoli portando con sé la partitura, che tanti favori aveva riscosso mettendo per di più in risalto al meglio i meriti della sua vocalità. Là la mise in mano all’amico Leo, con l’intento di modificarla per una edizione da mettere in scena nella città partenopea nel 1718. Ne nacque un “pasticcio”, come era definito nel Settecento, che partendo dal libretto di Giacomo Rossi utilizzava le migliori arie händeliane mischiandole a quelle di altre opere di Leonardo Leo e di numerosi operisti, fra i quali Antonio Vivaldi, Giovanni Porta e Domenico Sarro. La circostanza della messa in scena napoletana vedeva inoltre la nuova versione dell’opera pronta ad eseguirsi in onore al compleanno dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo, con un prologo celebrativo e due personaggi comici, Lesbina e Nesso, che diedero vita agli Intermezzi eseguiti fra un atto e l’alto dell’opera, come momenti di divagazione comica. La musica di questi intermezzi è andata perduta, ecco perché, per l’esecuzione martinese, si è deciso di affidarli alla sola recitazione di due bravi attori (Valentina Cardinali e Simone Tangolo), mentre per la partitura si era in possesso dell’autografo recentemente ritrovato nella biblioteca del castello di Longleat House, in Inghilterra. L’opera, così come si configura, appare una lunga collana di arie, dove dell’originale händeliano resta ben poco, o meglio avanzano le arie migliori. Il protagonista, Rinaldo, rinuncia all’aria virtuosistica “Venti Turbini”, ma si impossessa di “Mio cor che mi sai dir” e, soprattutto, dell’aria di Almirena, divenuta celeberrima, “Lascia ch’io pianga”, che in questa versione diventa, nel testo, “Lascia ch’io resti”, mantenendo però la celeberrima linea musicale. Argante non è più affidato a voce di basso, bensì ad un contralto (così avvenne anche nella versione Londinese del 1731), perdendo l’aria “Sibillar gli angui d’Aletto”. La drammaturgia della nuova versione acquista maggior interesse nella dimensione degli affetti e un po’ meno sul contrasto religioso fra cristiani e musulmani, che invece sembra interessare alquanto al regista dello spettacolo, Giorgio Sangati, che con scene di Alberto Nonnato e costumi di Gianluca Sbicca imposta il suo spettacolo mettendo proprio a confronto due mondi, quello pop-rock dei cristiani (con evidenti citazioni ad alcuni divi del rock, con un Rinaldo che pare Freddy Mercury) e quello dark-metal dei turchi. L’azione, liberata da ogni riferimento alla Gerusalemme Liberata del Tasso, diviene una moderna contesa fra fazioni musicali imbastita con un’ironia accentuata e spesso inopportunamente inseguita. Un modo, forse, per rendere più agevole la percezione dell’opera nel suo lungo susseguirsi di arie, ma senza che il ritmo del dramma subisca, con gli ingredienti utilizzati dal regista, una scossa in grado di distoglierlo da una certa monotonia. Per fortuna l’esecuzione musicale è degna di rilievo, grazie al complesso specializzato nel barocco, La Scintilla, guidato da un direttore che barocchista non è, come Fabio Luisi, ma la cui bacchetta cerca la via dell’eleganza e della levigatezza formale, a favore di un Händel che, contaminato dal barocco napoletano, pare divenire attento al dolce fluire della melodia, senza tuttavia dimostrarsi troppo fantasioso. La compagnia di canto, insieme alla bravissima Loriana Castellano, Almirena, gioca la carta vincente migliore su Carmela Remigio, che restituisce, nei panni della maga Armida, tutta la personalità che la parte richiede, mettendo a segno gli aspetti più sensuali che fanno parte delle arti magiche di maga incantatrice, con una voce e una presenza scenica di gran classe. Davvero una sorpresa il suo apporto ad una vocalità barocca che si auspica venga ancora percorsa in futuro da questa artista. In primo piano anche Teresa Iervolino, come Rinaldo. A lei sono affidate le arie più note dell’opera, quelle erediate dalla partitura händeliana: quindi “Cara sposa” e “Lascia ch’io resti”, nel cui canto patetico si ammira il morbido velluto vocale e il colore autenticamente contraltile del timbro, che fra le cantanti italiane del suo registro è dei migliori di oggi; poi nel virtuosismo di “Or la tromba” gareggia con la tromba concertante e nella chiusura della pagina si fa ammirare in una cadenza che la conferma cantante di sicura preparazione belcantistica. Il canto della Iervolino è quello della grande tradizione italiana, privo di fissità d’emissione, tutto incentrato sulla bellezza del suono, sulla malia del legato. Fin qui tutto bene. Ma non c’è rosa senza spine. A questa valente cantante manca ancora l’approfondimento espressivo capace di donare al belcanto barocco quel respiro capace di creare una coinvolgente atmosfera emotiva. La si ammira, ma non ci si meraviglia, né si resta catturati da un canto che, pur nella correttezza del dettato vocale e stilistico, non commuove nei momenti patetici, oppure non trascina quando nel canto acrobatico è chiamata a cercare la via dello stupore. Per ottenere questo, oggi – sempre che non si voglia fare nostalgicamente riferimento al passato – ci si deve affidare ad altri modelli, come quello di Cecilia Bartoli. Ripresa video accurata e di buona qualità sonora. 

                                                           

Fabio Luisi – La Scintilla
Armida, Carmela Remigio
Goffredo, Francisco Fernández-Rueda
Almirena, Loriana Castellano
Rinaldo, Teresa Iervolino
Argante, Francesca Ascioti
Eustazio, Dara Savinova
Lesbina, Valentina Cardinali
Nesso, Simone Tangolo
Araldo, Dielli Hoxha
Kim-Lillian Strebel, Uno spirito in forma di Donna
Ana Victória Pitts, Mago Cristiano
Regia, Giorgio Sangati
Scene, Alberto Nonnato
Costumi, Gianluca Sbicca
Luci, Paolo Pollo Rodighiero
Registrazione effettuata nel cortile del Palazzo Ducale di Martina Franca nel luglio-agosto 2018.